Accursio e la Magna Glossa

  1. Accursio, la vita

[anche Accórso, Accursius, Accurrxius; la sua sigla nelle glosse è “Ac.” , “Acc.”, anche “Florentinus”, in memoria delle origini toscane]

Nato tra il 1181 ed il 1185 probabilmente a Bagnolo, piccolo paese di collina presso Montebuoni a circa quattro, cinque miglia da Firenze. Morto probabilmente a Bologna tra il 1259 ed il 1263.

Accursio fu l’ultimo grande esponente della Scuola bolognese dei glossatori.

Le notizie sulla sua vita sono poche e si basano in gran parte su due cronache fiorentine del XIV secolo (Filippo Villani, De origine civitatis Florentiae, scritto verso la fine del Trecento e Domenico Bandini, Fons mirabilium universi). La condizione della sua famiglia è controversa, ma, secondo l’opinione più accreditata, riportata dal Savigny, sarebbe nato in una famiglia di contadini benestanti.

Se è vissuto settantotto anni, come riferiscono Villani e Bandini e se è morto tra il 1259 ed il 1263, la data della sua nascita si collocherebbe tra il 1181 ed il 1185.

Frequentò molto giovane la Scuola dei glossatori di Bologna e fu allievo di Azzone e di Iacopo di Balduini, acquisendo il titolo di dottore con quest’ultimo intorno al 1213; iniziò ad insegnare nel 1220 e lo fece per circa quarant’anni. Tra i suoi numerosi studenti si ricordano il figlio Francesco, Vincenzo Ispano, fors’anche Sinibaldo Fieschi, il futuro papa Innocenzo IV ed Odofredo.

La prima testimonianza della sua attività come giurista risale ad un atto del 1221 conservato nell’archivio della cattedrale, che riferisce di un frater domini Accursii doctoris legum.

Com’era tipico dei giuristi del 200, all’attività di studio ed insegnamento, si affiancò quella di pratico del diritto.

Sembra abbia avuto due mogli, ma è certo che abbia avuto quattro figli: dalla prima nacque Francesco [1225], dalla seconda, Cervotto, Guglielmo e, da anziano nel 1254, Corsino. Giuristi furono Francesco, il più famoso, Cervotto e Guglielmo. Corsino praticò il notariato. Una tradizione trecentesca, non confermata, attribuisce ad Accursio anche una figlia, dal nome Dotta, anch’essa giurista, ma l’unica Dotta che le fonti attestano, sarebbe la figlia di Francesco e dunque sua nipote.

Grazie all’insegnamento ed alla professione legale, alla fama ed al prestigio, Accursio fu un uomo ricco: nella Glossa ricorda il suo palazzo affacciato sulla Piazza Maggiore di Bologna, oggi incorporato nel palazzo comunale detto “Palazzo d’Accursio”. Nel contado, vicino a Budrio, ebbe una villa, la “Riccardina”, alla quale fu molto legato (la definì “delectabilis nostra villa”) e dove si ritirò a completare la sua opera più famosa, la Glossa.

Il Villani lo descrive come uomo dall’aspetto serio, sobrio, elegante, ma senza affettazione, un modello, insomma, per i suoi studenti, tanto che si diceva che, oltre al diritto, imparassero da lui le buone maniere.

Pende su di lui – e sul figlio Francesco – l’accusa di usura, praticata con gli studenti e della corruzione negli esami. Anche se la pratica dell’usura nei prestiti concessi dai professori agli studenti era diffusa nello Studium bolognese (v. Odofredo ed il figlio Alberto), pare che l’accusa dipendesse dalle posizioni filoimperiali e ghibelline di Accursio e dei suoi figli, tanto che il reato venne condonato da un breve di papa Nicolò IV nel 1291, dopo che i figli avevano giurato fedeltà alla Chiesa.

I discendenti di Accursio vennero, infatti, banditi da Bologna insieme alla famiglia ghibellina dei Lambertazzi ed a dodicimila bolognesi nel 1274, dopo la vittoria della parte guelfa rappresentata dalla famiglia dei Geremei, trovando ospitalità forse a Faenza; certamente poterono tornare in città nel 1291 e se ne ha notizia sino al 1356.

Accursio ebbe certamente una importante biblioteca, ma probabilmente non quella che gli attribuisce Kantorowicz, sulla base dell’inventario di 63 codici, che il figlio Cervotto vendette all’altro figlio Guglielmo il 7 ottobre 1273 al prezzo di 500 lire. Pare semmai che i figli di Accursio si dedicarono all’ars mercandie librorum e che, quindi, i libri venduti non fossero necessariamente quelli della biblioteca paterna.

Nel 1252 fu assessore del Podestà di Bologna, incarico che veniva affidato ai forestieri: Bologna concesse la cittadinanza a lui ed ai suoi familiari pochi anni dopo.

L’ultima notizia certa dell’esistenza in vita di Accursio è la matricola del 1259 alla Società dei Toschi, compagnia d’armi che raggruppava i cittadini bolognesi di origine toscana.

Accursio morì a Bologna tra il 1260 ed il 1263 (un atto del 1263 lo menziona come morto). Il suo corpo fu sepolto nei chiostri di San Domenico sino a quando il figlio Francesco non fece costruire quell’arca marmorea, che, restaurata alla fine dell’800, si trova oggi dietro l’abside di San Francesco, vicino all’attuale sede della Corte d’Appello.

Nel 1396 la Repubblica di Firenze decretò di dedicargli un monumento in Santa Maria del Fiore, chiedendo invano a Bologna le sue ossa: il monumento non venne mai realizzato, ma Accursio è, comunque, ricordato a Firenze da una statua dello scultore Fantacchiotti del 1852, collocata sotto il loggiato degli Uffizi, nella serie dei grandi toscani del passato.

  1. La Magna Glossa o Glossa Ordinaria

L’opera più importante di Accursio, che lo consegnò alla notorietà nel secoli successivi, fu la Magna Glossa o Glossa Ordinaria, che rispose all’esigenza scientifica e pratica del suo tempo di ordinare l’alluvionale attività ermeneutica sui testi giustinianei, che si era accumulata in oltre un secolo di attività della scuola dei glossatori.

Le glosse erano appunti scritti a corredo di un testo, nella forma di annotazioni marginali od interlineari, impiegate per chiarire od interpretare un testo. Non si trattava di un metodo didattico nuovo, in quanto già diffuso nell’età tardo antica presso i giureconsulti romani ed utilizzato per commentare le opere dei giuristi classici.

Da questo sistema, detto delle Glosse pregiustinianee, trasse origine il metodo impiegato dai glossatori – tra l’inizio del dodicesimo secolo e la prima metà di quello successivo – per commentare ed adattare i testi giustinianei alle esigenze concrete del loro tempo.

In questo contesto, i testi del Corpus Iuris civilis venivano progressivamente corredati da un apparato di glosse sempre più ampio, apposte dai vari maestri e contrassegnate dalle loro sigle, che si stratificavano una sull’altra od una accanto all’altra, negli spazi disponibili delle pagine, sotto forma di osservazioni, rimandi, collegamenti, commenti, tanto numerosi da soffocare i testi originari.

I Glossatori, infatti, lavoravano per accumulazioni successive, dimodoché ogni nuova generazione aggiungeva nuove glosse che si aggiungevano alle precedenti.

Accadeva, quindi, che gli studenti ed i pratici, più che sui testi giustinianei, lavorassero sulle glosse, tanto che lo stesso Azzone, uno dei maestri di Accursio, nel proemio della Summa Codicis, aveva avvertito che «glossam ad glossam vel ad textum transmittitur».

Di generazione in generazione, divenne, quindi, sempre più arduo individuare i testi originali della legge romana.

L’opera di Accursio, denominata Magna Glossa, superando la precedente di Azzone, rappresentò il tentativo riuscito di rimediare alla stratificazione incoerente delle glosse, con la redazione di un apparato chiaro, completo nei richiami ai passi del Corpus iuris, di una sintesi mirabile. Il consolidamento insomma dell’attività di studio ed interpretazione della scuola dei glossatori, con la selezione di quello che Accursio riteneva fossero le migliori glosse dei centocinquant’anni precedenti.

Un’opera monumentale per i tempi, e di alto livello scientifico, anche se, secondo il Savigny, segnò la decadenza della scuola dei glossatori: secondo un calcolo del Seckel (cfr. FIORELLI, Accorso, cit.), Accursio selezionò ben 96.260 glosse, dei giuristi precedenti, soprattutto di Azzone.

In oltre trent’anni di studio, Accursio compose un apparato ai cinque volumi del Corpus Iuris, attingendo in primo luogo agli autori più antichi, Azzone e Ugolino dei Presbiteri, entrambi allievi di Giovanni Bassiano [a sua volta allievo di Bulgaro]: l’apparato consisteva nella redazione di un completo corredo di glosse apposte a margine di un titolo dei Digesta o del Codice, che sistematizzava il lavoro compiuto sul testo dai glossatori precedenti.

Accursio procedette a selezionare le interpretazioni e le dottrine dei giuristi precedenti, rielaborando il vastissimo materiale del passato; un lavoro particolarmente difficile per i mezzi a disposizione nel medioevo, considerato che le glosse non erano ordinate per importanza, ma si trovavano tutte sullo stesso piano. Il pregio dell’opera, che ne ha segnato la fortuna, consistette nella rete di rinvii interni che collegava le varie parti del Corpus, consentendone una lettura chiara ed una comprensione approfondita.

La forma definitiva dell’opera si raggiunse nel corso degli anni quaranta del 1200, dopo una serie progressiva di apparati, dovuta alle continue additiones dell’autore; .

Il successo della Glossa di Accursio fu enorme ed oscurò gli apparanti precedenti, venendo considerata la Glossa per antonomasia [la Glossa ordinaria, cioè ufficiale]; divenne l’indispensabile strumento di studio del diritto romano imperiale e di lettura del Corpus Iuris, sino a divenire materia d’insegnamento (ndr. nel diritto canonico, l’equivalente della Glossa di Accursio è la Glossa al Decretum Gratianii di Giovanni Teutonico, come rivisto ed integrato da Bartolomeo da Brescia [1245]).

La Glossa acquisì lo stesso valore della legge (v., ad esempio, gli statuti di Bologna e Verona e ne fa fede un documento fiorentino del 1258), identificandosi col diritto comune. Per avvocati e giudici la Glossa era diritto vivente. Per il giurista Raffaele Fulgosio del XV sec. «advocati adorant glossatores pro evangelis».

La diffusione del diritto comune in Europa impose, di fatto, la ricezione dell’opera accursiana.

In Germania, dove alla fine del ‘400 si recepì ufficialmente il diritto comune con l’italica interpretatio, rappresentata dalla glossa accursiana, nascerà l’adagio «quod non agnovit glossa, non adgnoscit curia» [una regola non conosciuta dalla glossa, non è riconosciuta dal tribunale].

Con la nascita nel 1495 del Tribunale Camerale dell’Impero, Reichskemmergericht, i giudici tedeschi dovevano decidere «nach des Reichs gemeinen Rechten» e cioè secondo il diritto comune. La scienza tedesca chiama questo fatto storico, die Rezeption: il diritto romano veniva accolto nel suo complesso, accompagnato dalla interpretatio italiana per eccellenza, la Glossa accursiana.

Per secoli la Glossa di Accursio fu alla base di ogni dottrina giuridica che pretendesse di derivare dal diritto romano. L’autorità della Glossa è all’origine dell’idea, tipica del diritto civile continentale, secondo cui un commento autorevole della dottrina sia una fonte del diritto. L’opera commentò il Corpus iuris nei manoscritti e nelle stampe, dal 1468 al 1627.

Tanta era la sua autorità nei tribunali, che in caso di contrasto tra la Glossa ed il testo del Corpus Iuris, si preferiva la prima. In Brasile, ancora all’inizio del XVII secolo, veniva riconosciuta alla Glossa valore di legge, simile a quella delle leggi romane e canoniche.

La compilazione di Accursio segnò l’apogeo scientifico della scuola dei glossatori, ma anche l’inizio del suo declino.

La straordinaria fortuna della Glossa di Accursio determinò, infatti, la cristallizzazione degli studi con l’accettazione acritica delle opinioni dei soli giuristi citati nella compilazione, tanto da parlare di “serrata delle glosse”.

  1. L’opera in biblioteca

La Magna Glossa in biblioteca del 1569 è composta da nove parti riunite in sei grossi volumi in 4°, rilegati in pergamena coeva. >Il titolo reca “Corpus iuris civilis. Quibus Iurisprudentia ex Vetribus Iurisconsultis desumpta – com Accursi j Commentarijs e Doctissimorum Virorum Annotationibus: Andrea Alciatus, Petrus Rebuffus ecc…Omnia diligentissima purgata & recognita”.Editore apud Nicolaum Bevilaquam, Venetiis 1569.

  1. Digestum vetus (88 carte – nn. 1510 pagg. più una carta bianca & un Arbor inciso-legno)
  2. Infortiatum (32 carte – nn. 1388 pagg. più due carte bianche)
  3. Degestum Novum (44 carte – 1326 pagg. & una carta Bianca con Arbor Exceptionum)
  4. Codicis Iustiniani Libri IX Priores (stampato in Venetiis, 1581 sub signo Aquilae se Renovantis; 26 carte – nn. 1488 pagg., 13 carte – nn. & una bianca)
  5. Institutiones Divi Caesaris Iustiniani (19 carte – nn. più una bianca & 384 pagg. e un Arbor Civilis )
  6. Novellae Constitutiones (vulgo Authenticae, 10 carte – nn. 360 pagg.)
  7. Tres Codicis Libri posteriores (226 pagg. più una carta bianca)
  8. Consuetudine Feudorum ( Federici II Imp.Extravagantes duae Henrici VII Imp., Libellus de Pace Constantiae, 146 pagg. più una carta bianca)
  9. Novus Sextum Volumen (in quo haec sententiae extants Theasurus Accursian, Venetiis 1606 apud Iuntas, 10 carte – nn. 159 carte numerate più una c-b, 340 pagg. – 200 pagg. 4 carte – nn.& 96 carte – numerate).
  1. Le opere minori

La Magna Glossa non è stata l’unica opera di Accursio, oltre ad una serie di quaestones, additiones e consilia, che corredano la Glossa, gli vengono attribuiti lavori minori di esegesi del diritto feudale. È ritenuto unanimamente accursiano l’apparato ai Libri feudorum. Attribuita ad Accursio, come opera giovanile, la Summa Authenticorum.

Accanto all’attività di insegnante e studioso, da ricordare l’attività di consulente prestata a favore del Comune di Bologna e di altre istituzioni. Rendere alle autorità comunali il consilium sapientis iudiciale era un dovere del doctor legum. Di Accursio sono attestati una decina di consilia tra il 1234 ed il 1256.

  1. Bibliografia

  • FIORELLI, in Dizionario biografico degli Italiani, Accorso da Reggio, Roma, agg.to 2010 (consultabile in www.treccani.it, con ricca bibliografia)
  • AA.VV., Enciclopedia del Medioevo, Milano, 2007
  • A.PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa, Bologna 2007
  • A.PADOA SCHIOPPA, Italia ed Europa nella storia del diritto, Bologna, 2003
  • STEIN, Il diritto romano nella storia europea, 2001
  • GROSSI, L’ordine giuridico medioevale, Bari, 1995
  • CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, vol.1, Milano, 1982
  • CALASSO, Medio evo del diritto, Milano, 1954
  • BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, Milano, 1949
  • BRUGI, Il metodo dei glossatori bolognesi, in Studi in onore di Salvatore Riccobono, vol. I, Castiglia, Palermo 1936
  • KANTOROWICZ, Accursio e la sua biblioteca, in Riv. Storia Dir. It., 1929, II, 35
  • ASCOLI, la interpretazione delle leggi. Saggio di filosofia del diritto, Roma, 1928
  • PERTILE, Storia del diritto italiano, Torino, 1897, vol.II, parte I
  • DE’ SAVIGNY, Storia del diritto romano nel medioevo, Torino, 1857, libro IV
  • MORELLI, Accursio (Accorso), in Dizionario biografico dei giuristi italiani, Bologna, vol. I, 2014, 6.

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