Brevi note sulla chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità
L’art. 164 bis, disp. att. c.p.c.” Infruttuosità dell’espropriazione forzata”
L’articolo, inserito nelle disposizioni di attuazione del codice di rito dall’art. 19, co. 2, lett. b), d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (conv. con modific. in l. 10 novembre 2014, n. 162), stabilisce che «quando risulta che non è più possibile un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo».
La norma è entrata in vigore il giorno 11 settembre 2014 e si applica anche ai procedimenti pendenti a quella data: essa consente al giudice dell’esecuzione di disporre la chiusura anticipata per infruttuosità della procedura esecutiva, indipendentemente dalla volontà del creditore.
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L’estinzione del processo esecutivo e l’infruttuosità prima dell’art. 164-bis
Sino all’introduzione dell’art. 164-bis è mancata nell’ordinamento processuale civile una norma generale che disciplinasse le conseguenze delle procedure esecutive incapaci di liquidare i beni pignorati.
Nel settore dell’espropriazione mobiliare, l’art. 540-bis, c.p.c., introdotto dall’art. 48 della legge 18 giugno 2009, n. 69, aveva segnalato una prima presa d’atto del problema; la norma permette l’estinzione del procedimento esecutivo nel caso in cui le cose pignorate restino invendute al secondo o successivo esperimento ovvero quando la somma assegnata (ai sensi degli artt. 510, 541 e 542 c.p.c.) non sia sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori e non sia stato richiesto o possibile il pignoramento di altri beni[1].
Nel frattempo, la giurisprudenza di merito aveva sperimentato provvedimenti di “estinzione anticipata atipica” del processo esecutivo a tutela dei principi dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo (art. 111, co.2, Cost.: comma aggiunto dall’art 1, L. cost. 23 novembre 1999, n. 2), a fronte di procedure esecutive non in grado di raggiungere il loro scopo.
Alle cause tipiche di estinzione del processo esecutivo previste dagli artt. 629 (per rinuncia agli atti esecutivi), 630 (per inattività delle parti), 631 (per la mancata comparizione a due udienze consecutive) e 631-bis (per il mancato esperimento della pubblicazione della vendita sul portale delle vendite pubbliche) c.p.c., tutte articolate attorno ai due presupposti dell’inattività delle parti o della loro volontà di por fine al processo esecutivo, la prassi aveva affiancato casi di estinzione c.d. atipica, caratterizzati dal comune denominatore della pacifica impossibilità di proseguire con successo la procedura esecutiva, nelle quali il giudice, non potendo estinguere ai sensi delle norme suindicate, poneva termine alla procedura esecutiva, indipendentemente dalla volontà delle parti[2].
La prassi pretoria si scontrava tuttavia con l’orientamento della Cassazione attento nell’affermare i principi di tassatività e tipicità delle cause di estinzione, sul modello del corrispondente istituto della cognizione, di cui all’art. 306 c.p.c.[3], anche se non sono mancati segnali di apertura all’opportunità di fermare le procedure infruttuose rimaste in fase di “stallo”, utilizzando il mezzo processuale dell’improseguibilità del processo per inutilità o inesistenza sopravvenuta del suo oggetto[4]. In questo contesto, restava confermato l’orientamento che escludeva che il giudice dell’esecuzione potesse, senza il consenso delle parti, estinguere l’esecuzione dopo plurimi esperimenti di vendita andati deserti[5].
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La ratio della norma
L’art. 164-bis tutela l’interesse pubblico alla ragionevole durata del processo esecutivo, principio costituzionale posto dal secondo comma dell’art. 111 Cost. e quello privato alla fruttuosità dell’esecuzione per la soddisfazione del creditore.
La novella ha segnato una nuova affermazione del principio della ragionevole durata sugli altri principi, che tradizionalmente hanno informato il processo esecutivo, ai quali autorevole dottrina assegnava pari rango: a) l’adeguatezza allo scopo, b) la proporzionalità ed economicità dell’esecuzione, c) la par condicio tra i creditori, d) la tutela del debitore a non subire un’ingiusta esecuzione[6].
La preminenza assegnata a detto principio risponde ai plurimi interventi legislativi diretti ad evitare aggressioni all’erario derivanti dalle azioni risarcitorie per danno da irragionevole durata del processo, considerato che la legge Pinto, nel calcolo della durata del processo civile, comprende il procedimento di esecuzione forzata che dovrà concludersi in tre anni, pena l’irragionevolezza della sua durata (art. 2, co. 2-bis, legge 24 marzo 2001, n. 89)[7].
Come precisato, l’art. 164-bis ha introdotto nell’ordinamento la possibilità della chiusura anticipata del processo esecutivo[8], quando, a prescindere dall’opinione del creditore, la sua prosecuzione appaia antieconomica, perché il bene pignorato non ha mercato o perché la vendita non appare conveniente.
Detto altrimenti, potranno chiudersi, secondo le parole della Relazione illustrativa, le procedure “inutilmente” pendenti, per evitare che proseguano procedimenti esecutivi che non recano alcun vantaggio al creditore «in quanto generatori di costi processuali più elevati del concreto valore di realizzo degli asset pignorati».
L’innovazione si colloca tra gli strumenti, fatti di “prassi virtuose”, di orientamenti giurisprudenziali e di novelle legislative, figli della concezione che collega strettamente le sorti del processo esecutivo a quelle dell’economia, processo che viene individuato come uno degli snodi centrali della tutela “competitiva del credito”, segnatamente del credito delle imprese e delle banche[9].
Coerente in questa cornice è l’esclusione dalla tutela esecutiva dei crediti di modesta entità, laddove l’interesse del creditore a proporre l’azione esecutiva non possa trovare tutela quando il credito sia talmente irrisorio da giustificare un giudizio di irrilevanza giuridica[10]
La facoltà di chiudere anticipatamente le procedure inutilmente pendenti, di cui è espressione l’art. 164-bis, nelle procedure esecutive singolari, trova richiami nelle procedure concorsuali: l’art. 118, co. 1, n. 4), che consente la chiusura della procedura fallimentare quando la sua prosecuzione non consente la soddisfazione, neppure parziale dei crediti concorsuali, di quelli prededucibili e delle spese; l’art. 104-ter, co. 8, che autorizza il curatore a non liquidare uno o più beni se l’attività di liquidazione appaia manifestamente insolvente e l’art. 102, secondo cui il giudice delegato può non disporre l’accertamento del passivo se risulta che non si possa acquisire attivo sufficiente da distribuire ai creditori che abbiano chiesto l’ammissione al passivo, salva la soddisfazione dei crediti prededucibili e delle spese di procedura[11].
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Il perimetro di applicazione dell’art. 164-bis
La norma fa riferimento al processo esecutivo senza distinzioni, sicché è da ritenere che sia applicabile ai tre tipi di espropriazione forzata, anche se si può prevedere che la sua più frequente applicazione sarà nell’esecuzione immobiliare.
Nell’espropriazione mobiliare è per converso improbabile che l’articolo abbia frequente applicazione, concorrendo altri mezzi processuali funzionali alla chiusura anticipata dell’esecuzione, quali l’art. 540-bis, già ricordato nel § 1 e il recentemente novellato art. 532, co. 2, seconda parte, che autorizza il giudice a chiudere anticipatamente l’esecuzione dopo tre esprimenti di vendita negativi, indipendentemente dalla ricorrenza dei presupposti dell’art. 164-bis (comma sostituito dall’art. 4, co. 1, lett. c), d.l. 3 maggio 2016, n. 59, conv. con mod. nella legge 30 giugno 2016, n. 119).
Ancor meno probabile pare la sua applicazione nell’espropriazione presso terzi di crediti quando il credito sia stato assegnato ai sensi dell’art. 553, co. 1, c.p.c.[12]
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L’infruttuosità della procedura
L’art. 164-bis affida al giudice dell’esecuzione la valutazione circa l’”infruttuosità” della procedura e la convenienza a proseguirla: il termine, presente solo nella rubrica, richiede al giudice una valutazione di tutti gli elementi del caso concreto.
Il parametro del giudizio circa l’impossibilità di un ragionevole soddisfacimento delle pretese creditorie è il credito portato dal titolo esecutivo del creditore procedente (e degli eventuali intervenuti ex art. 499 c.p.c.), oltre interessi e spese.
Dalla lettera della norma, che rimanda all’impossibilità di collocare il bene pignorato sul mercato con ragionevole soddisfazione dei creditori, è da ritenere che la sua concreta applicazione presupponga, almeno di regola, che il valore del bene sia stato stimato e che la fase della liquidazione abbia avuto inizio[13].
Eccezionali sembrano, infatti, le ipotesi in cui si possa stabilire con certezza, prima della fase liquidatoria del bene pignorato, che essa non darà esito positivo: queste ipotesi potranno verificarsi quando la natura e le caratteristiche del bene non lo rendano interessante per il mercato[14].
La valutazione circa l’infruttuosità della procedura e la convenienza a proseguirla è naturalmente discrezionale: il giudice prenderà in esame tutti gli elementi a sua disposizione, dalla stima del valore del bene[15], al valore di mercato, agli esiti delle vendite tentate, ai successivi ribassi del prezzo.
Nelle prime decisioni pubblicate si fa riferimento ad un’impossibilità oggettiva, estranea alla condotta delle parti, di proseguire materialmente il processo esecutivo[16]: ad esempio, si è chiusa anticipatamente una procedura dove la mancata consegna per la vendita del bene pignorato ex art. 521-bis, c.p.c., impediva materialmente la liquidazione ed il soddisfacimento delle pretese dei creditori[17].
Nell’applicazione dell’art. 164-bis non assumono rilievo decisivo – essi soli – il numero degli esprimenti di vendita falliti, anche se non c’è dubbio che costituiscano indizi gravi e precisi circa il probabile insuccesso della procedura.
Sul punto, sia la dottrina, che le prime decisioni hanno escluso la chiusura anticipata della procedura esecutiva dopo l’esito negativo di più vendite ovvero quando la riduzione del prezzo sia stata determinata dall’esito infruttuoso dei precedenti tentativi di vendita, quando i ribassi futuri del prezzo siano ancora tali da consentire – con valutazione prognostica – un ragionevole soddisfacimento delle ragioni dei creditori[18].
In altri termini, per dichiarare la fine anticipata di una procedura esecutiva non sembrerebbero sufficienti le vendite senza risultato, dalle quali dedurre l’infruttuosità futura, né che il prezzo di aggiudicazione sia inferiore a quello di mercato, a condizione tuttavia che concorrano altri elementi di fatto dai quali dedurre la convenienza a proseguire la procedura esecutiva.
La Cassazione, in tema di giusto prezzo e di sospensione dell’esecuzione ex art. 586 c.p.c., ha osservato che è legittima l’aggiudicazione avvenuta al settimo esperimento di vendita, in quanto il prezzo di aggiudicazione è intrinsecamente giusto se siano state rispettate le regole del codice di procedura. Si tratta di principi utili per l’applicazione dell’art. 164-bis, da filtrare tuttavia nel giudizio di infruttuosità della procedura in funzione della sua chiusura anticipata[19].
La valutazione del giudice non potrà, infatti, prescindere – e così si sta orientando la prassi dei giudici – da un giudizio sui risultati dell’attività di liquidazione e sul significato da attribuire al ripetersi di esiti negativi delle vendite con i conseguenti ribassi del prezzo, fatti che costituiscono indizi concordanti della probabile infruttuosità della procedura[20].
Da considerare, inoltre, che nella procedura esecutiva immobiliare l’art. 164-bis si applica in coordinamento con l’art. 591, co. 1, c.p.c, nella parte che stabilisce che il giudice, a fronte dell’insuccesso delle vendite, in mancanza di istanze di assegnazione, possa disporre l’amministrazione giudiziaria o fissare una nuova vendita a prezzo ribassato: la chiusura della procedura potrà allora essere dichiarata dal giudice dell’esecuzione solo dopo aver escluso di adottare – perché ritenute inopportune o non convenienti – le altre misure per la liquidazione del bene, diverse dalla vendita, quali l’assegnazione e l’amministrazione giudiziaria.
Infine, la liberazione dell’immobile pignorato, da disporre ai sensi dell’art. 560, co. 3, c.p.c., costituisce una conditio sine qua non per poter giudicare fondatamente dell’infruttuosità della vendita dell’immobile, nel senso che, se non sia stata disposta e non sia stato liberato l’immobile, difficilmente risulterebbe fondato il provvedimento di chiusura anticipata[21].
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I costi della procedura
In funzione del giudizio di infruttuosità, il giudice è chiamato ad effettuare una comparazione dei crediti con i costi da sostenere, in una valutazione “ora per allora”: la prosecuzione del processo sarà conveniente se consentirà il recupero dei costi ed il pagamento, anche parziale, ma non simbolico, dei crediti, tenuto conto di quelli assistiti da garanzia reale sul bene pignorato[22].
Tra i costi, nonostante l’art. 164-bis faccia riferimento solo a quelli da sostenere, non possono escludersi quelli già sostenuti dal creditore in quanto, se si arrivasse alla distribuzione, godrebbero del trattamento riservato a tutti i costi e sarebbe, quindi, illogico non tenerne conto.
Controversa è la questione se la procedura possa proseguire solo per il recupero dei costi sostenuti, quando cioè il ricavo probabilmente atteso sia talmente irrisorio da non garantire il ragionevole soddisfacimento dei creditori.
Sul punto nella giurisprudenza di merito si sta consolidando un orientamento contrario alla prosecuzione: secondo il Tribunale di Como «al fine di evitare che una procedura esecutiva venga qualificata come infruttuosa a norma dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c. non è sufficiente che all’esito della medesima si possa giungere al ristoro delle sole spese di giustizia sostenute dal creditore procedente, ma deve risultare (alla luce di una valutazione necessariamente prognostica) la concreta possibilità di un (seppur tendenziale) massimale soddisfacimento della pretesa creditoria»[23].
Più articolata la posizione della dottrina, divisa tra chi ritiene che non si debba chiudere anticipatamente la procedura, se le somme ragionevolmente ricavande possano coprire i costi sostenuti dai creditori, perché altrimenti si lederebbero i principi di cui agli artt. 2740 c.c. e 24 Cost.[24] e chi pensa altrimenti, salva l’ipotesi che dalla prosecuzione della procedura si attenda il recupero, oltre che alle spese, di uno o più crediti, anche parziale, ma non simbolico[25].
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La valutazione circa il ragionevole soddisfacimento delle ragioni dei creditori
L’art. 164-bis chiede al giudice la valutazione del ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, senza ulteriori specificazioni: il plurale del termine “pretese” rimanda a tutti i creditori, il procedente, gli intervenuti, i titolati e i non titolati, conclusione confermata dal richiamo al loro soddisfacimento, da apprezzare sulla base delle regole sul concorso.
Rinviando a quanto osservato nel § 4 in merito alla irrilevanza dei (soli) plurimi esprimenti di vendita con esito negativo per il giudizio di infruttuosità, secondo la giurisprudenza, nella valutazione della ragionevolezza non si potrà assumere come parametro la sola sproporzione tra il prezzo base di vendita, ancorché ribassato, ed il valore di stima. Come stabilito dalla Cassazione, se è da escludere che la sproporzione tra il valore del bene ed il prezzo di aggiudicazione abbia rilevanza nella valutazione del giudice circa la legittimità dell’aggiudicazione, ugualmente detta sproporzione non può importare – essa sola – nel giudizio ex art. 164-bis[26].
Anche l’orientamento giurisprudenziale della Cassazione circa la mancanza da parte del creditore dell’interesse a promuovere l’espropriazione forzata per il recupero di crediti di modesto valore economico, può costituire un argomento a sostegno della decisione della chiusura anticipata: se la procedura neppure avrebbe dovuto iniziare, tantomeno potrebbe proseguire, quando il vantaggio per il creditore fosse oggettivamente irrilevante (v. § 2 ed alla nota 10).
In dottrina alcuni ritengono applicabili i criteri utilizzati in ambito fallimentare a proposito della chiusura del fallimento ai sensi dell’art. 118, co. 1, n. 4, legge fall.[27], altri pensano che la valutazione sul ragionevole soddisfacimento si potrebbe compiere sulla base di un calcolo percentuale dei risultati attesi dall’attività liquidatoria, senza tuttavia concordare circa la percentuale minima da adottare[28]
In concreto, nella varietà dei casi della pratica, il giudice, dovendo declinare termini generali quali “ragionevole”, “infruttuosità”, dovrebbe considerare congiuntamente sia il riparto atteso per ogni creditore, che la corrispondente percentuale[29], così da decidere se la prosecuzione della procedura permetta o meno il recupero dei costi ed il pagamento, parziale, ma non simbolico, dei crediti.
- Il procedimento e l’ordinanza di chiusura anticipata
L’art. 164-bis non disciplina il procedimento e la forma del provvedimento di chiusura anticipata.
La previsione che la chiusura della procedura sia disposta dal giudice, insieme alla mancata previsione della necessità un’istanza di parte, autorizzano una pronuncia d’ufficio da parte del giudice, senza escludere l’obbligo di ascoltare le parti, fissando un’apposita udienza, a tutela del principio del contraddittorio[30].
Pare necessaria l’audizione anche del debitore, nonostante non sia il soggetto tutelato direttamente dalla norma: se si ammette il debitore a presentare istanza di chiusura anticipata[31], non sembra ragionevole escluderlo dal successivo contraddittorio, avendovi certamente interesse in quanto la chiusura della procedura potrebbe preludere all’apertura di nuove aggressioni esecutive nei suoi confronti, per non dire del suo interesse al corretto svolgimento della procedura.
Quanto alla forma del provvedimento, nascendo dal contraddittorio ed essendo la forma tipica dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione ex art. 487 c.p.c., essa è l’ordinanza, corredata da una succinta motivazione[32]; peraltro è lo stesso provvedimento utilizzato dalla giurisprudenza ante 164-bis in tema di c.d. estinzione atipica[33].
Avverso l’ordinanza di chiusura anticipata è proponibile l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.: così dicono le prime pronunce in tema[34], seguendo la giurisprudenza formatasi sulle ipotesi di estinzione c.d. atipica[35], nonché la Relazione al d.l. n. 132/2014, che vi fa espresso riferimento.
L’opzione per l’opposizione agli atti è coerente col sistema che configura il reclamo ex art. 630. ult. co. c.p.c., come l’unico mezzo d’impugnazione applicabile ai casi di estinzione del processo esecutivo riconducibili ad un’ipotesi tipica, contrassegnati cioè dall’inattività delle parti, dalla mancata comparizione o dalla rinuncia.
Diversamente, la chiusura anticipata ex art. 164-bis si caratterizza per l’impossibilità di proseguire il processo esecutivo indipendentemente dalla volontà delle parti, fatto che impone al giudice di adottare un provvedimento di improcedibilità, diverso sia da quello estintivo, che da quello satisfattivo[36], con il conseguente distinto rimedio del reclamo in luogo dell’opposizione ex art. 617 c.p.c..
Se, tuttavia, l’improseguibilità ex art. 164-bis dell’esecuzione determina l’arresto del processo esecutivo, al pari del fenomeno dell’estinzione, sicché gli effetti ultimi dell’estinzione e dell’improseguibilità del processo esecutivo sono identici, bisogna domandarsi quali possano essere le ragioni di una diversa tutela[37], che non può non porre un dubbio di costituzionalità per il trattamento diverso accordato a situazioni sostanzialmente identiche con riferimento all’art. 3 Cost.
La scelta tra i due rimedi non è irrilevante per le parti: diversamente dal procedimento di reclamo che si conclude con una sentenza appellabile ai sensi dell’art. 130, disp. att. c.p.c., il giudizio di opposizione agli atti termina con una sentenza inappellabile ex art. 618, ult. co., c.p.c.
In proposito è interessante riprendere la riflessione, sviluppatasi in relazione all’impugnabilità dei provvedimenti di estinzione c.d. atipica, sulle ragioni dell’adozione di rimedi impugnatori differenti per ipotesi comunque lato sensu estintive[38], adattandole all’istituto della chiusura anticipata.
Nel codice l’estinzione del processo esecutivo è regolata da una disciplina unitaria, che si applica a tutte le fattispecie riconducibili agli artt. da 629 a 631-bis c.p.c., tutte tutelate dall’istituto del reclamo: ne segue che l’esclusione della chiusura anticipata ex art. 164-bis da questa tutela non può che passare attraverso la sua esclusione dal novero delle cause di estinzione.
Se si privilegia questa lettura restrittiva delle cause di esclusione-estinzione, riservando ad esse il reclamo, è logico affiancare alle cause di improcedibilità della procedura esecutiva il diverso rimedio dell’opposizione agli atti.
È possibile tuttavia un’altra lettura che porta alla reclamabilità “anche” delle ordinanze di estinzione anticipata, fondata sull’irrilevanza delle cause che determinano l’estinzione o l’arresto del processo esecutivo e sulla loro riunione in un unico genus caratterizzato dal fatto che l’esecuzione non può proseguire e che il giudice lo dichiara con ordinanza: così argomentando, sarebbe conseguente trattare in modo unitario ogni fattispecie di estinzione “per così dire allargata”, anche per il regime delle impugnative, assoggettando il provvedimento di improseguibilità per infruttuosità al regime del reclamo[39].
Milano, 11 gennaio 2017
Avv. Antonio Donvito
[1] SALETTI, sub art. 540-bis, in AAVV, Commentario alla riforma del codice di procedura civile (legge 18 giugno 2009, n. 69), a cura di SALETTI – SASSANI, Torino, 2009, 191; LONGO, La riforma del processo esecutivo, in Foro it., 2009, V, 319.
[2] Trib. Milano, 26 maggio 2004, n. 49, in Riv. esec. forzata, 2005, 683, con n. GIORGETTI, L’estinzione atipica del processo esecutivo e i suoi rimedi; Trib. Salerno, 6 giugno 2002, in Giur. Mer., 2004, 1373, con n. PETRELLA, L’estinzione atipica del processo di esecuzione: un istituto di creazione giurisprudenziale e la sua evoluzione alla luce dei moderni principi; Trib. Palermo (ord.), 26 marzo 2015, in www.eclegal.it.
[3] Cass. civ., sez. I, 4 febbraio 2002, n. 15806; Id., sez. III, 28 novembre 1992, n. 12711; Id., sez. III, 8 marzo 1991, n. 2477; Id., sez. III, 17 aprile 1987, n. 3786.
[4] Cass. civ, sez. III, 19 dicembre 2006, n. 27148, in Riv. esec. forzata, 2006, 898 e ibidem 2007, 156, con n. VACCARELLA, Infruttuosa reiterazione dell’incanto ed estinzione “atipica” del processo esecutivo; SOLDI, Formulario dell’esecuzione forzata, Padova, 4ª ed., 2016, 1279; DE STEFANO, Gli interventi in materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 132/2014, in Riv. esec. forzata, 2014, 794, ss; VINCRE, Articolo 164-bis. Infruttuosità dell’espropriazione forzata, in SALETTI-VANZ-VINCRE, Le nuove riforme dell’esecuzione forzata, Torino, 2016, 372.
[5] L’orientamento della Cassazione era coerente con i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza 9 maggio 2003, n. 161, che, pronunciandosi in relazione all’art. 538 c.p.c. (nella formulazione ante 2006), aveva considerato costituzionalmente corretto fissare plurimi esperimenti di vendita mobiliare «a prezzo libero».
[6] TARZIA, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 2002, 338, ss.
[7] Il principio era già stato affermato dalla Corte dir. uomo, CEDU, nella decisione 29 marzo 2006 (r.n. 36813/97) e recentemente dalla Cass., Sez. Un., 19 marzo 2014, n. 6312, in Giur. It., 2014, 1631, n. VANZ, Equo indennizzo per irragionevole durata del processo: un faticoso dialogo tra Corti.
[8] Che si aggiunge alle altre ipotesi tipiche di estinzione anticipata del processo esecutivo previste dagli artt. 629 (per rinuncia agli atti esecutivi), 630 (per inattività delle parti), 631 (per la mancata comparizione delle parti a due udienze successive) e 631-bis (per il mancato espletamento della pubblicazione della vendita sul portale delle vendite pubbliche).
[9] CAPPONI, Il giudice dell’esecuzione e la tutela del debitore, in Riv. dir. proc,, 2015, 1461. Non è mancata in questa riforma la pressione internazionale rappresentata dalle annuali classifiche di Doing business, che, nella categoria enforcing contracts, colloca da anni l’Italia nelle ultime posizioni.
[10] Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2015, n. 4228.
[11] Secondo VINCRE, Infruttuosità dell’espropriazione forz., op. cit., 375, il confronto con la disciplina fallimentare va comunque fatto con cautela per la differenza della procedura.
[12] LODOLINI, La chiusura anticipata per infruttuosità e l’estinzione per mancato espletamento della pubblicità sul portale delle vendite pubbliche, in Riv. esec. forz., 2016, 241.
[13] Così VINCRE, L’infruttuosità dell’espropriazione forzata, op. cit., 377; di contrario avviso FARINA, secondo cui l’estinzione potrebbe essere dichiarata anche prima della vendita forzata, ad esempio, nella fase di autorizzazione alla vendita ex art. 569 c.p.c.. FARINA, L’ennesima espropriazione immobiliare «efficiente» (ovvero accelerata, conveniente, rateizzata e cameralizzata), in Riv. Dir. Proc., 2016, 143.
[14] Ad esempio, nel caso di pignoramento che riguardi una piccola quota di un immobile indiviso oppure di pignoramento di un immobile su cui insiste un immobile abusivo, i cui costi di demolizione siano pari al valore del terreno o ancora al pignoramento del diritto di usufrutto su di un immobile inagibile, VINCRE, Infruttuosità dell’espropriazione forz., op. cit., 377.
[15] Come osserva VINCRE, Infruttuosità dell’espropriazione forz., op. cit., 379, sebbene la stima dell’esperto debba indicare la situazione di fatto e di diritto dell’immobile, nonché il valore commerciale, ai sensi degli artt. 568 c.p.c. e 173-bis, disp. att. c.p.c., ciò non può dare elementi significativi circa l’improbabilità della vendita e del conseguente realizzo.
[16] Trib. Belluno, 12 gennaio 2016, in www.ilcaso.it
[17] Trib. Mantova, 26 maggio 2015, in www.ilcaso.it
[18] Trib. Palermo (ord.), 26 marzo 2015, in www.eclegal.it; SOLDI, Formulario dell’esecuzione forzata, Padova, 4ª ed., 2016, 1281.
[19] Cass. civ., sez.III , 21 settembre 2015, n. 18451, Riv. esec. forz., 2016, 2, 259 nota di FARINA; POLIZZI, L’infruttuosità dell’espropriazione forzata tra i primi chiarimenti operativi e pressanti esigenze di bilanciamento, in Nuova giur.civ.comm., 2015,I, 1038).
[20] SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, 2016, Padova, Vª ed., 2287; POLIZZI, L’infruttuosità dell’espropriazione forzata tra i primi chiarimenti operativi, op. cit., 1038.
[21] VINCRE, Infruttosità dell’espropriazione forz., op. cit., 378.
[22] SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, op.cit., 2284.
[23] Trib. Como, ord. 23 aprile 2015, in Nuova giur.civ.comm., 2015, I, 1038, n. POLIZZI, op. cit.
[24] FARINA, L’ennesima espropriazione immobiliare «efficiente» (ovvero accelerata, conveniente, rateizzata e cameralizzata), in Riv. Dir. Proc., 2016, 143; CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2015, XIII ed., 818.
[25] SOLDI, Formulario dell’esecuzione forzata, Padova, 4ª ed., 2016, 1280; l’orientamento dell’Autore è coerente con l’art. 118, co. 1, n. 4, legge fall., che non consente la chiusura della procedura fallimentare se si possa raggiungere una soddisfazione, sia pur minima, dei creditori
[26] Trib. Roma, ord., 1 ottobre 2015; Trib. Palermo, ord., 26 marzo 2015, in www.eclex.it, n. MAJORCA, I soli ribassi a base d’asta non comportano l’estinzione anticipata dell’espropriazione forzata per infruttuosità; nonché Cass. civ. n. 18541/2015 cit. a nota 18; in dottrina, VINCRE, Infruttosità dell’espropriazione forz., op. cit., 381.
[27] MONTANARI, Profili di rilievo per l’analisi sistematica in un recente intervento riformatore in tema di esecuzione forzata, in Giusto proc.civ., 2015, 701.
[28] FRANCOLA, Art. 19 – Misure per l’efficienza e la semplificazione del processo esecutivo, in AA.VV., La nuova riforma del processo civile. Degiurisdizionalizzazione, processo e ordinamento giudiziario nel D.L. 132/2014, conv. in L. 162/2014, a cura di Santangeli, Roma, 2015, 332.
[29] Trib. Roma, 1 ottobre 2015, in Foro it., 2016, I, 1872.
[30] TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. 132/2014, in Corr. giur., 2015, 403 e BELLE’, Estinzione tipica e chiusura atipica del procedimento esecutivo, in Riv. esec. forz,, 2007, 440; per DESIATO, Infruttuosità dell’esecuzione forzata, in AA.VV., Misure urgenti per la funzionalità e l’efficienza del processo civile, a cura di Dalfino, Torino, 2015, non è necessaria la fissazione di un udienza, essendo sufficiente disporre lo scambio di memorie; secondo LODOLINI, La chiusura anticipata per infruttuosità e l’estinzione per mancato espletamento della pubblicità sul portale delle vendite pubbliche, op. cit., 250, l’udienza non è necessaria se l’istanza di anticipazione provenga dal debitore.
[31] Trib. Bari, 24 luglio 2015, in www.eclegal.it, n. LONGO, contra, Trib. Rovigo, 14 luglio 2016, in www.ilcaso.it
[32] VULLO, sub art. 630, in AA.VV., Codice dell’esecuzione forzata, a cura di Vullo, Milano, 2015, 983.
[33] Cass. civ., 13 maggio 2015, n. 9837; Cass. civ., 20 novembre 2014, n. 24775; Cass. civ., 28 settembre 2011, n. 19858.
[34] Trib. Bari, 24 luglio 2015, cit.; Trib. Belluno, 12 gennaio 2016, cit., che hanno dichiarato inammissibile il reclamo proposto avverso l’ordinanza emessa ex art. 164-bis, ritenendo che tale provvedimento debba essere impugnato con l’opposizione agli atti.
[35] Trib. Milano, sez. III, 26 maggio 2004, n. 49, in Riv. esec. forz., 2005, n. GIORGETTI, L’estinzione atipica del processo esecutivo e i suoi rimedi, 679, ss; vedi note, 2 e 4 e SOLDI, Formulario dell’esecuzione forzata, Padova, 4ª ed., 2016, 1280.
[36] GIORGETTI, L’estinzione atipica del processo esecutivo e i suoi rimedi, op. cit., 682; SALETTI, Processo esecutivo e prescrizione. Contributo alla teoria dell’azione esecutivo, Milano, 1992,
[37] Cass. sez. un., 18 gennaio 1983, n. 413, in Giust. civ., 1983, I, 1506.
[38] GIORGETTI, L’estinzione atipica del processo esecutivo e i suoi rimedi, op. cit., 682.
[39] Così in tema di regime impugnatorio delle ordinanze di estinzione atipica, GIORGETTI, L’estinzione atipica del processo esecutivo e i suoi rimedi, op. cit., 684.